IL PUNTO DI PARTENZA DEL SAPERE ROSMINI EREDE CRITICO DI HEGEL

[Paolo Pagani, Università Ca’ Foscari Venezia] Il contributo considera l’eredità che, nella sua Teosofia, Rosmini riprende dalla Scienza della logica di Hegel sul tema del punto di partenza del sapere. L’“essere iniziale” come punto di partenza di diritto del sapere è una acquisizione – di matrice ultimamente classica, e in particolare scolastica – che Hegel e Rosmini rimettono al centro della riflessione filosofica moderna. Entrambi convengono nel riconoscere all’essere il carattere della automanifestatività, ma i due autori divergono nella individuazione della dialetticità che ad esso compete. Hegel proietta sull’essere una movenza dialettica che è propria del soggetto conoscente, Rosmini cerca invece di individuare le tensioni dialettiche che all’essere stesso – nella sua astrattezza – competono.

 

Nota introduttiva

Il nostro intervento si propone di far interagire due luoghi testuali – uno di Rosmini e uno di Hegel – tra loro connessi: rispettivamente, la Prefazione alla Teosofia e le pagine della Scienza della logica intitolate “Con che cosa ha da incominciare la scienza?” (queste ultime considerate nella versione della seconda edizione dell’opera). Inevitabilmente dovremo introdurre circoscritti riferimenti anche ad altri luoghi della produzione dei due autori, ma quello su indicato sarà il principale campo di riferimento del confronto. Ora, il tema che accomuna i due testi è quello della determinazione di quale sia il punto di partenza appropriato del sapere filosofico.

Per Rosmini il punto di partenza di diritto del sapere non coincide con il residuo di una previa purificazione, ovvero con il frutto di una tabula rasa gnoseologica, bensì con qualcosa che mostri la propria inevitabilità, in quanto condizione di ogni possibile evidenza. Più precisamente, ciò che conta non è stabilire da dove debba partire una riflessione radicalmente critica (cioè filosofica), quanto riconoscere dove, da qualunque punto si parta, non si possa poi non arrivare: arrivare a riconoscere di esser inevitabilmente partiti; in quanto quel “dove” – il “dove” di diritto – è implicito in ogni “dove” di fatto.

Questa impostazione, evidente in Rosmini, è rinvenibile anche in Hegel, stando ad una attenta lettura dell’esordio della Scienza della logica. Ma anche il testo della Enciclopedia conferma l’obiettiva convergenza, se pensiamo al § 17, dove Hegel afferma che l’inizio di fatto (Anfang) del filosofare può dipendere dal punto di vista di un indagante empirico; ma esso è comunque destinato ad essere ricompreso in un inizio di diritto, che è in grado di mostrarsi come imprescindibile rispetto a ogni inizio accidentale.

Quanto all’inizio [Anfang] della Filosofia, sembra che anch’essa, in generale e analogamente alle altre scienze, cominci con un presupposto soggettivo [mit einer subjektiven Voraussetzung]. […] Inoltre, all’interno della Scienza questo punto di vista che qui appare immediato deve rendersi risultato, e precisamente risultato ultimo della Scienza stessa: allora la Filosofia perviene nuovamente al proprio inizio e ritorna entro sé. In tal modo la Filosofia si mostra come un circolo [Kreis] che ritorna entro se stesso e che non ha nessun inizio nel senso in cui ce l’hanno le altre scienze. L’inizio pertanto si ha solo in riferimento al soggetto che intende decidersi a filosofare, ma non in riferimento alla Scienza in quanto tale. Ciò equivale a dire: il Concetto della Scienza, e quindi il Concetto primo – il quale, appunto perché primo, implica la separazione per cui il pensiero è oggetto per un soggetto filosofante -, dev’essere colto dalla Scienza stessa (Hegel, 1996, § 17, p. 125).

Del resto, nonostante la volontà rosminiana di smarcarsi da Hegel, il debito della Teosofia nei confronti dei luoghi hegeliani sopra citati è evidente.

E altrettanto evidente è il debito comune – da nessuno dei due autori per altro esplicitato, almeno a questo proposito – rispetto alla quinta Enneade di Plotino. Del resto Plotino, tra i classici, è quello che più a fondo ha considerato la relazione che sussiste tra l’essere in quanto tale e il pensiero in quanto tale, e la relazione che intercorre tra quest’ultimo e l’attività pensante del soggetto umano (si pensi in particolare a: Plotino, 2002, V, 1, 3-5; V, 1, 10-11; V, 3, 3-6; V, 3, 8; V, 3, 10; V, 5, 1; V, 5, 3; V, 6, 1-2; V, 6, 6; V, 9, 5-8). Per Plotino, l’essere (to einai) è realmente se stesso, quando “accoglie l’eidos del pensare”: come a dire, che il pensare è un nome originario dell’essere (Plotino, 2002, V, 6, 6). Ovvero, “il pensiero è l’essere in se stesso, e non lo è come se lo pensasse dal di fuori: infatti, l’essere non è né al di qua né al di là di esso; anzi, il pensiero è il primo legislatore, o meglio, la legge [nomos] stessa dell’essere”.

 

Conclusione e apertura

L’essere iniziale come punto di partenza di diritto del sapere è una acquisizione – di matrice ultimamente classica, e in particolare scolastica – che Hegel e Rosmini rimettono al centro della riflessione filosofica moderna. Entrambi convengono nel riconoscere all’essere il carattere della automanifestatività, ma i due autori divergono nella individuazione della dialetticità che ad esso compete.

Per Hegel, l’essere è un momento, una figura, di un movimento dialettico che lo pone e lo depone. Sembra così che la dialettica del sistema hegeliano, corrispondente al modo di atteggiarsi di chi si dispone progressivamente rispetto alla determinazione dell’assoluto, pretenda di diventare il modo del disporsi progressivo dell’assoluto stesso. Invece, il fatto stesso che si debba affrontare il problema della determinazione del punto di partenza non può che portare a riconoscere che, chi ha da determinarsi rispetto all’assoluto, non istanzia il punto di vista assoluto.

Rosmini, da parte sua, individua una dialetticità intrinseca all’essere iniziale: una dialettica dell’essere, nel senso di un genitivo soggettivo, e non oggettivo. Egli infatti – a differenza di Hegel (cfr. supra 3.4) – non fa indebitamente corrispondere alla semplicità dell’essere iniziale una disposizione univocista di quest’ultimo, ma dedica la sua ontologia teosofica a individuare e articolare due tensioni che attraversano l’essere iniziale. La prima è la differenza ontologica tra essere ed ente (su questo, si veda: Pagani, 2020, pp. 505-523), la seconda è la dissimmetrica relazione tra idealità e realità, come forme che si richiamano nell’inizialità. Nell’essere iniziale – che si rivela dunque a Rosmini come uno spazio attraversato da campi di forze, e non come un mero ambito di indistinzione – la realità gravita sulla idealità, che è dotata di un maggior peso ontologico, rilevabile considerando che una realità che prescinda dalla idealità, non è radicalmente concepibile, mentre una idealità che prescinda dalla realità è concepibile, anche se non come autosussistente.

Ora, le due “tensioni” di cui sopra, tracciano le linee di una “integrazione” metafisica dell’essere iniziale: integrazione che Rosmini persegue attraverso una dialettica dell’antinomia, in cui il negativo interviene solo come ipotesi da superare “deontologicamente” (ovvero apagogicamente), e non come fattore intrinseco all’essere stesso e a un suo preteso sviluppo. Ma di questi temi ci siamo occupati più volte in altra sede, e torneremo a occuparci in altre occasioni.

*Extracto del artículo publicado por Paolo Pagani en Razón y Fe, accesible aquí.